Questo approfondimento riassume un articolo pubblicato da Aswath Damodaran, docente alla New York University School of Business, in data 30/08/2024 e reperibile qui (lingua inglese).

L’autore, riconosciuto a livello internazionale per i dati che pubblica periodicamente sulle valutazioni d’azienda, si è posto un problema quando un suo collega universitario ha creato un robot in grado di emulare il suo operato, tenendo conto di tutti i testi, il materiale didattico e i video che l’autore ha pubblicato nel web.

Con un robot alle calcagna, Damodaran fa notare che per lui sarà un periodo difficile, in quanto, se il robot pubblicherà valutazioni di azienda:

  • migliori dei suoi studenti, allora non avrà più senso che lui continui a insegnare
  • peggiori dei suoi studenti, allora significherà che le ricerche da lui pubblicate sono di bassa qualità…

Cosa fare quindi per difendersi dall’Intelligenza Artificiale (IA), per evitare che questa ci porti via il lavoro?

Premesso che l’IA opera bene in contesti ripetitivi, basati su regole, in modo meccanico e prevedibile, l’autore individua quattro leve sulle quali l’essere umano può agire per evitare di essere sostituito da una macchina.

  1. Cercare di essere “generalista”: nel corso degli ultimi decenni, in tutte le discipline si è assistito a un incremento continuo, e quasi esasperato, della specializzazione (in finanza, alcune professioni sono talmente esoteriche che i non addetti ai lavori non hanno idea di cosa trattino). Ci sono sempre meno talenti in grado di lavorare in più ambiti, al punto che il genere umano sembra aver perso una parte di valore nel tempo. Per esempio, non tutti sanno che il la cupola della Cattedrale di Santa Maria in Fiore – a Firenze – è stata progettata nel 1400 da Filippo Brunelleschi, un artista che nel tempo si è applicato a varie discipline, esercitando le seguenti professioni: architetto; ingegnere; scultore; matematico; orafo; scenografo
    In un mondo un cui l’IA continua a svilupparsi, un ritorno al Rinascimento e alle multi-discipline sarebbe auspicabile.
  2. Trovare la storia e il perché di ciò che si fa: un modello può funzionare bene nel descrivere un fenomeno ma se si fonda su concetti errati prima o poi sbaglierà. I numeri sono utili e fondamentali ma per aumentarne la qualità bisogna andare oltre, contestualizzandoli e cercando di capire il perché dei risultati. Nelle valutazioni di azienda, l’autore caldeggia l’approccio quantitativo integrato da quello qualitativo: la macchina è veloce e precisa nell’estrapolare dati da un foglio Excel ma fa fatica nell’identificare soft data (es. qualità del management; barriere all’ingresso), area dove l’essere umano può eccellere.
  3. Mantenere il cervello in allenamento: nel tempo, il GPS ci sta portando a perdere dimestichezza con la mappe cartacee e il senso dell’orientamento. Analogamente, in molti ambiti stiamo lasciando che l’algoritmo ci guidi, perché comodo, intuitivo e facile da usare. Un fenomeno particolarmente infido è dato dalla ricerca su Google, spesso usata per trovare risposte online al posto di provarci con i nostri mezzi. Ragionare sulle domande, pur richiedendo tempo e pur portandoci a volte a risposte sbagliate, è un processo di allenamento importante per la nostra mente, che stiamo gradualmente perdendo.
  4. Lasciare “cavalcare” la mente: una mente “vuota” è un luogo per la nascita e lo sviluppo di nuove idee. E’ meraviglioso come l’essere umano riesca a emergere con scoperte clamorose, collegando situazioni trasversali durante momenti di riflessione distaccati dalla quotidianità. L’autore trovò il modo di spiegare il concetto di value investing ai propri studenti, spalando la neve: si rese conto di come una bufera di neve (i.e. un mercato turbolento) possa portare sofferenza ad alcuni soggetti, costretti a spalare la neve, ma felicità ad altri, i quali si divertono a lanciare palle di neve e a costruire pupazzi.

Quindi portare a spasso il cane, lasciando a casa il telefono, può avere un grande valore aggiunto!

Alla luce delle leve sopra citate, l’autore suggerisce tre strategie che si possono implementare, ove possibile, per battere il proprio robot:

  • Mantenere segreto il proprio operato: poiché il robot impara utilizzando dati (siti web, YouTube, Facebook, ecc…), rendendo i dati indisponibili è possibile tenere il robot alla larga. Ci sono però due caveat da tenere in considerazione. Primo: se la concorrenza pubblica i propri dati, allora il robot può comunque essere in grado di imitarti. Secondo: il robot può fare reverse enginnering: è possibile risalire alla causa guardando agli effetti. Per esempio, un gestore di un fondo può non esplicitare la propria politica di investimento ma, se se analizzano i titoli che compra e vende nel tempo, è possibile determinarne la strategia di investimento.
  • Cercare protezione nel sistema: in alcune professioni (es. notai), anche se un robot potrebbe economicamente sostituirsi a una persona, il sistema non accetta questo tipo di azione, richiedendo sempre la presenza dell’essere umano. Cercare di canalizzare il proprio operato in settori “protetti” potrebbe essere utile per bloccare il robot.
  • Costruisci il tuo recinto: nelle imprese più sofisticate, le barriere all’ingresso sono costituite da una serie di competenze e investimenti, in grado di portare un vantaggio competitivo difficile da imitare. Lo stesso principio può essere applicato a livello personale.
    Nella vita quotidiana, pensa che da qualche parte c’è un robot con il tuo nome, che sta cercando di imitarti. Pensa però a quello che veramente ti definisce e rende unico quale essere umano: questa è la tua migliore difesa.