L’anno 2023 è iniziato in netto rialzo nei mercati, per poi subire qualche contraccolpo in seguito all’effetto che l’incremento dei tassi di interesse da parte delle Banche Centrali sta avendo sull’economia, con particolare attenzione nel settore bancario.

Come sempre, nei momenti di incertezza divagano le informazioni più esotiche e, sulla base dei quesiti ricevuti finora, sembra opportuno fare chiarezza almeno su un paio di domande che ricevo spesso:

Domanda 1: “Quindi anche quest’anno è un disastro nei mercati, vero?”

Domanda 2: “Come sono messe le banche italiane?”


1) Quindi anche quest’anno è un disastro nei mercati, vero?

No: nonostante la turbolenza delle ultime settimane per l’incertezza creatasi nel settore bancario, quest’anno i mercati sono comunque in territorio positivo. Non dimentichiamoci che l’anno 2022 è stato un anno di “tempesta perfetta” in cui si sono manifestate simultaneamente, per citarne alcune: inflazione; incertezza legata al futuro delle economie a causa della guerra in Ucraina; incremento repentino dei tassi da parte delle Banche Centrali globali. Ciò ha portato a un deprezzamento generale di quasi tutte le attività di investimento, specialmente nel reparto obbligazionario (ricordiamo che il prezzo delle obbligazioni si muove in modo opposto rispetto ai tassi di interesse, v. approfondimento E tu sai (davvero) come funziona un’obbligazione?).

L’anno 2023 si colloca in un contesto di mercato diverso: con i tassi di interessi tornati a livelli più “normali” e in corso di stabilizzazione, le obbligazioni sono ora in grado di offrire un rendimento positivo apprezzabile e un discreto grado di decorrelazione rispetto alle azioni, come si è visto durante il periodo in cui è stata dichiarata fallita la banca Credit Suisse durante il mese di marzo 2023: i prezzi delle azioni sono entrati in periodo di elevata volatilità mentre i prezzi delle obbligazioni (specialmente su scadenze non troppo lunghe, es. 3 anni) non hanno subito variazioni rilevanti.

Si riporta di seguito il grafico del prezzo di un indice obbligazionario globale pubblicato da Bloomberg (Bloomberg Global Aggregate Total Return), rappresentativo dell’andamento delle obbligazioni in generale. Come si vede, l’anno peggiore è stato il 2022 mentre quest’anno i rendimenti obbligazionari sono più stabili (e in leggero rialzo, in vista dei rendimenti a scadenza che sono aumentati).

Indice Obbligazionario Globale

Fonte: Bloomberg (https://www.bloomberg.com). Dati al 14/04/2023.

Indice obbligazionario Bloomberg

Per quanto riguarda le azioni, i prezzi dei mercati azionari quotati variano in base alle aspettative sul futuro andamento delle imprese (sulle quali siamo investiti, per chi ha esposizione azionaria) perciò anche qui l’anno più traumatico è stato probabilmente il 2022 (v. approfondimento Rendimenti attesi oggi).

Per contestualizzare attraverso i numeri, si riportano di seguito i rendimenti dei principali indici azionari negli ultimi anni, fino a fine marzo 2023 (pubblicati da Morgan Stanley Capital Index).

Rendimento indici azionari

Rendimento indici azionario MSCI

Nei primi tre mesi dell’anno 2023 tutti i listini sono incrementati di valore (colonna 2023). Rispetto a un anno fa solo l’Europa è positiva in quanto i listini si erano abbassati in modo più marcato con lo scoppiare della guerra in Ucraina, in un periodo antecedente l’anno. Su orizzonti più lunghi gli indici azionari sono invece positivi, come si può aspettare da siffatta classe di attivo.


2) Come sono messe le banche italiane?

Premesso che nessuno è in grado di prevedere in modo sistematico il futuro, in tema di banche è possibile fare qualche considerazione generale che, almeno in linea teorica, dovrebbe consentirci di affrontare le scelte in modo più consapevole.

Riprendendo qualche approfondimento (primo fra tutti, quello del 2017 – Ma le banche italiane sono davvero solide?), è possibile dire che in genere la solidità di una banca può essere misurata dalla bontà dei propri impieghi, nel senso che oltre a prestare liquidità a controparti affidabili dovrebbe farlo in modo redditizio. Post crisi finanziaria del 2008, a livello globale e in primis in Europa si è andato verso una regolamentazione più stringente del settore bancario prevedendo, oltre agli stress test, un legame fra la qualità e la quantità degli impieghi che la banca può effettuare. In altre parole, le banche possono tendenzialmente aumentare il proprio volume di affari solo se prestano e soggetti a minor rischio; nel tempo, ciò ha portato gli istituti più solidi a emarginare il più possibile i clienti più rischiosi, i quali si sono trovati a “fuggire” presso banche più “disperate”, magari piccole e alla ricerca di profitti elevati (e tendenzialmente speculativi).

Seguendo questo filone logico, si potrebbe fare una prima indagine sulla base del fatturato delle banche, per misurarne una dimensione economica. Di seguito si riportano i dati delle maggiori 20 banche italiane in base al “fatturato” (valore della produzione).

Nota: tutti i dati sono aggiornati a dicembre 2021, data comune per la pubblicazione degli ultimi bilanci disponibili per tutte le banche. Per alcune banche sono disponibili anche bilanci più aggiornati.

Le Top 20 - Banche Italiane in base al “fatturato”

Fonte: AIDA (Bureau Van Dijk), elaborazione dati Alberto Miazzi, CFA.

Si noti come vi sia un’elevata concentrazione delle attività presso i primi due istituti bancari (Intesa e Unicredit) che, da sole, rappresentano più della metà del valore della produzione del campione preso a riferimento.

La dimensione del fatturato degli istituti diminuisce rapidamente, con Iccrea Banca Spa (formata dalla fusione di banche locali di piccole dimensioni) che occupa lo 0,8% del campione considerato.

Ovviamente il fatturato è un indicatore che, da solo, non può fornire molte informazioni. Nella tabella che segue si riportano quindi una serie di dati aggiuntivi delle banche sopra citate, questa volta ordinandole in base al ‘patrimonio netto’ (cioè il capitale di pertinenza degli azionisti che dovrebbe essere utilizzato per garantire i terzi in ultima istanza).

Le Top 20 in base al Patrimonio Netto (Dipendenti e CET1)

Fonte: AIDA (Bureau Van Dijk), Bilanci Aziende (per CET1). Elaborazione dati Alberto Miazzi, CFA.

Anche qui, si noti come le prime due banche (Intesa e Unicredit) siano dominanti per dimensione del patrimonio netto, pesando per il 62% del campione considerato.

La colonna CET1 costituisce un primo indicatore di qualità: indipendentemente dalle eventuali contestualizzazioni che si possono fare, un CET1 che supera il 10,5% costituisce una soddisfacente misura di qualità. Su questa base solo Deutsche Bank SPA non supera questo test.

La tabella seguente prova ad aggiungere altri indicatori di riferimento per le stesse banche, nel tentativo di avere una visione un po’ più completa sulla qualità delle stesse.

Le Top 20 in base al Patrimonio Netto (Utile e ROE)

Fonte: AIDA (Bureau Van Dijk), elaborazione dati Alberto Miazzi, CFA.

Le colonne in arancione misurano se negli ultimi tre anni disponibili la banca ha chiuso il bilancio in utile oppure in perdita. Per standardizzare questi dati, le colonne in verde vanno poi a pesare l’utile o la perdita rispetto al patrimonio netto, in modo da fornire un indicatore omogeneo di redditività (il ROE – Return On Equity), che permette il confronto fra banche di diverse dimensioni.

Semplificando un po’, il ROE rappresenta il rendimento che un azionista dovrebbe aspettarsi dal suo investimento nel capitale della banca. Poiché nel periodo 2019-2021 i tassi di interesse erano a livelli molto bassi si potrebbe considerare soddisfacente un ROE che superi, nel tempo, il 5% (questo numero coincide con il premio per il rischio medio storico degli investimenti in azioni).

A colpo d’occhio è evidente come le banche tradizionali facciano più fatica a essere redditizie, in netta contrapposizione con le banche di rete. Ciò è naturale se si pensa che le banche tradizionali hanno esposizioni importanti verso impieghi che possono essere in sofferenza e si trovano ora a fare i conti con una riduzione importante ma dovuta del personale, a seguito della digitalizzazione degli ultimi anni che ha reso, per esempio, molti sportelli superflui (si noti il dato “numero di dipendenti” nella tabella sopra).

L’aumento dei tassi d’interesse del 2022 dovrebbe portare a un incremento di redditività per le banche “sane” mentre potrebbe generare una cricca nelle banche meno solide ed esposte su impieghi ad alto rischio.


Conclusioni

In questo approfondimento si è cercato di creare consapevolezza sulla situazione attuale dei mercati e del sistema bancario in Italia, nel modo più oggettivo possibile.

Il rendimento dei mercati azionari, oltre ad avere una reversione verso la media nel tempo (più probabile dopo un 2022 in netto ribasso), misura le aspettative degli investitori su come si evolveranno i prezzi delle aziende quotate. Nei primi mesi del 2023 tali aspettative si sono dimostrate positive. Ovviamente non si può sapere cosa succederà nel corso dei prossimi mesi ma sembra una parte di “cattive” notizie sia stata digerita rispetto lo scorso anno. Inoltre, l’aumento repentino dei tassi di interesse del 2022 ha creato un aumento dei rendimenti attesi per azioni e obbligazioni, con queste ultime in grado di fornire ora un rendimento a scadenza positivo anche nel comparto governativo (considerato privo di rischio) a breve scadenza.

Per quanto riguarda le banche italiane, pur non essendo possibile misurare con precisione la solidità di ogni singolo istituto si possono delineare alcune linee guida per minimizzare brutte sorprese. In particolare, ci si può aspettare che banche di piccole dimensioni e a bassa redditività faranno più fatica a fronteggiare periodi di criticità, in un sistema di regolamentazione che tende a favorire banche con impieghi di qualità e di dimensioni più rilevanti.

Diversamente dai rendimenti dei mercati quotati, i dati di bilancio misurano quello che è successo in passato perciò non è detto che la storia si ripeta in futuro. Detto questo, sembra preferibile avere un punto di riferimento misurabile per trarre le proprie conclusioni rispetto a seguire fughe di notizie, non sempre collocate nel loro contesto di riferimento.